CRESPI D'ADDA
PATRIMONIO CULTURALE
Il villaggio operaio di Crespi d’Adda, nel comune bergamasco di
Capriate San Gervasio, è uno dei migliori esempi di archeologia
industriale d’Europa. Nato a fine Ottocento da una visione e da un
sogno imprenditoriale, incarna il tentativo di creare un ‘villaggio
ideale del lavoro’. Ancora oggi, il paese si può ammirare in tutta la sua
innovativa concezione: il cotonificio con le enormi ciminiere, il castello
padronale, la chiesa, le case degli operai e quelle dei gradi più alti,
quella del medico e del curato, la scuola e il cimitero.
Per prima viene
la fabbrica, nel 1878, in un’area della Bergamasca adibita a bosco e
pascolo, ricchissima d’acqua e con una forza lavoro ancora contadina.
Qui l’imprenditore Cristoforo Benigno Crespi fonda un cotonificio, che
può contare sulle acque impetuose dell’Adda per azionare i macchinari
e su quelle del Naviglio della Martesana per trasportare le merci fino a
Milano: una fabbrica al passo con i tempi, organizzata nei due reparti
di filatura e ritorcitura, che al culmine del suo sviluppo conta 1200
telai meccanici, impiega fino a 4000 operai e produce 50.000 m di
tessuto al giorno.
Il passo decisivo verso la nascita di una città ideale
dell’industria è la creazione del villaggio operaio; non si tratta però
solo di case per i lavoratori, perché nel corso degli anni la cittadina
si arricchisce di servizi essenziali quali la scuola, la cooperativa di
consumo, l’ospedale, la chiesa e il cimitero: un’utopia comunitaria che
le profonde trasformazioni dell’industria a partire dagli anni ’30 hanno
via via scalfito, fino alla sua definitiva chiusura nel 2003.
DA NON PERDERE
“A nessun costo gli operai dovevano essere lasciati in balia di se stessi, con del tempo a disposizione, men che meno nello stesso momento e tutti insieme.”
Così Ulderico Bernardi nella Ricerca sociologica sul villaggio operaio di Crespi d’Adda pubblicata in Villaggi operai in Italia. La Val Padana e Crespi d’Adda. Con il suo ordinamento ortogonale, Crespi d’Adda è un modello di razionalità urbanistica. Corso Manzoni la taglia in due, separando nettamente la zona residenziale da quella dedicata al lavoro.
Google Maps
“Era seguito da tutti, fino a pochi anni or sono, il sistema di fabbricare case grandi, a più piani, capaci di contenere dieci e fino a venti famiglie: questo era un errore. Si facevano delle caserme, non delle case, in cui il pianto dei bambini, i pettegolezzi fra donne, i rumori d’ogni genere interrompono continuamente la quiete necessaria al riposo, e la vita vi si fa quasi in comune, e la troppa vicinanza delle famiglie ingenera malumori, che finiscono in diverbi od in risse. Non s’illuda l’industriale di creare una mano d’opera affezionata usando un tale sistema di costruzione: avrà sempre degli operai girovaghi, cupidi soltanto di un maggior guadagno.
La casa operaia modello deve contenere una sola famiglia ed essere circondata da un piccolo orto, separata da ogni comunione con altri.”
“Era seguito da tutti, fino a
pochi anni or sono, il sistema di
fabbricare case grandi, a più piani,
capaci di contenere dieci e fino
a venti famiglie: questo era un
errore. Si facevano delle caserme,
non delle case, in cui il pianto dei
bambini, i pettegolezzi fra donne, i
rumori d’ogni genere interrompono
continuamente la quiete necessaria
al riposo, e la vita vi si fa quasi in
comune, e la troppa vicinanza delle
famiglie ingenera malumori, che
finiscono in diverbi od in risse.
Non
s’illuda l’industriale di creare una
mano d’opera affezionata usando
un tale sistema di costruzione:
avrà sempre degli operai girovaghi,
cupidi soltanto di un maggior
guadagno. La casa operaia modello
deve contenere una sola famiglia
ed essere circondata da un piccolo
orto, separata da ogni comunione
con altri.”
da una relazione di Silvio Benigno Crespi, 1894
Nel villaggio operaio, costituito da una serie
di fabbricati in mattoni disposti a scacchiera,
ogni casa era dotata di un orto-giardino
e alle necessità dei dipendenti-abitanti
provvedeva un sistema di specifiche tutele:
un caso di imprenditoria illuminata per
l’epoca, un ammonimento e un antidoto alla
sfrenata competitività dei manager per oggi.
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“NIENTE VASI GRECI, SCHELETRI PREISTORICI O GIOIELLI ROMANI: L’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE È QUELLA DISCIPLINA CHE STUDIA GLI EDIFICI, LE MACCHINE E LE TECNOLOGIE DELL’EPOCA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, SVILUPPATASI NEL XIX E NEL XX SECOLO. QUESTA ZONA DELLA BERGAMASCA NE È PARTICOLARMENTE RICCA.”


CONSIGLI DI LETTURA
Suggerimenti di lettura per conoscere il sito di archeologia industriale.
- Villaggi operai in Italia. La Val Padana e Crespi d’Adda (1981). Uno dei testi scientifici più completi sull’argomento, dedicato alla nascita dei villaggi operai in Europa e nel nostro paese nel corso del XIX secolo, con un’appassionante ricerca sociologica su quello dei Crespi.
- Silvio Benigni Crespi. L’uomo, il politico, l’imprenditore, a cura di Cristian Bonomi, Giorgio Ravasio, Luigi Cortesi (2018). In questa antologia di scritti emerge l’interessante personalità di Silvio Benigno Crespi, primogenito del fondatore della fabbrica, imprenditore illuminato e poi senatore e presidente della Banca Commerciale.
- Al di qua del fiume, Alessandra Selmi (2022). Finalmente un romanzo storico e corale sull’utopia comunitaria intrapresa da Cristoforo e poi proseguita da Silvio Crespi, gli industriali che con Olivetti hanno patrocinato la bellezza anche in un contesto produttivo. La protagonista Emilia e gli altri personaggi imprenditori e operai sono ben tratteggiati, uniti in questo microcosmo in un sentire comune fatto di dignità e progresso, caratteristiche che non vengono a mancare nemmeno nei momenti più critici della storia del cotonificio.
- Crespi d’Adda, Giorgio Ravasio (2023). Il sottotitolo “La città del lavoro proficuo, dell’utopia sociale e della metafora architettonica” chiarisce gli intenti di questo volume, un percorso dentro quella ‘religione del lavoro’ ancora oggi così attuale e la cronaca dell’ascesa di un sogno e del declino di un’ambizione. L’autore è uno dei maggiori esperti della materia.
Per ragazzi:
- La fabbrica delle favole, Gisella Laterza (2024). Ovvero il villaggio visto con gli occhi di una bambina del primo Novecento. La durezza del lavoro in fabbrica e le precarie condizioni sociali influiscono anche sulla vita dei più piccoli, ma vengono trasformate dall’immaginazione della protagonista in personaggi e situazioni d’incanto. La narrazione diventa un’ancora cui anche i bambini riescono ad aggrapparsi, per plasmare di magia e ridurre a propria misura una realtà più grande di loro.

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